Comédie dangereuse | o dei muti turpiloqui d’amore

Drammaturgia e regia: Adriana Follieri

Interpreti: Dora De Maio, Angela Fabiano, Fiorenzo Madonna

e con la partecipazione straordinaria dello Chef Marco Follieri

Fisarmonica, chitarra, percussioni e voce: Marcello Squillante

Disegno luci: Davide Scognamiglio

Scene: Federica Di Gianni

Costumi: Antonella Mancuso

Assistente alla regia: Valerio Pietrovita

Consulenza musicale: Carla Pastore

Collaborazione artistica: Francine Bergère, Hugo Fonti, Simona Perrella

Suono: Daniele Piscicelli

Amministrazione: Anna Tramontano

una produzione MANOVALANZA

si ringraziano per la preziosa collaborazione lo Chef Marco Follieri, Chiara Rodriquez e il Laboratorio scenografico Opificio del Palco, e tutti gli allievi e le allieve dei laboratori di Manovalanza

Come di’ 

comédie dangereuse | o dei muti turpiloqui d’amore 

uno spettacolo di MANOVALANZA 

Come di’ | comédie dangereuse | o dei muti turpiloqui d’amore è uno spettacolo dalla drammaturgia originale dedicato agli attori Dora De Maio, Angela Fabiano e Fiorenzo Madonna e liberamente ispirato al “Cyrano de Bergerac” di Rostand: il maschile e il femminile qui si confondono, le identità sono figure in sagoma, abitanti di una provvisorietà senza tempo, in cui il gioco di scambi non fa che riportare alla luce la natura delle cose e degli istinti, natura definitiva e immutabile. 

A guidare questo lavoro è l’amore, la sua geometria insulsa e strabordante di effetti speciali, il suo vulcanico vocabolario inutile, il turpiloquio e la delicatezza, la poesia che ne deriva, che altro non è se non poesia dei corpi in canto, in affannosa ricerca di sé nei corpi altrui; l’amore e come dirlo, dirlo meglio, perché risuoni e giochi dalla scena alla vita. Per analogia, certamente esplicita, a guidare questo lavoro è il teatro, luogo ideale dell’anima oltre che luogo fisico del rito scenico, rievocato in un gioco di scatole cinesi, sintesi e specchio delle miserie e delle virtù teatrali, miserie e virtù umane elevate a potenza; scatole cinesi che moltiplicano il teatro dentro se stesso e ne fanno una gabbia luminosa, vorticosa a tratti, in cui il teatrino dell’apparire insegue il teatrino dell’essere: una scenografia dell’attesa e della pretesa, evocatrice di paesaggi lunari, dove la bellezza è specchietto per le allodole, tensione verso un altrove luminoso, umana costruzione e demolizione di totem necessari quanto non completamente edificabili, né edificanti. 

Ecco dunque la seduzione, il racconto del filo invisibile e sottile che conduce e guida a sé l’oggetto amato, ecco l’impasse di ogni amante, l’esitazione, l’impeto, lo spavento. Ecco la brutta figura del corpo che non aderisce alla bellezza delle parole di Cyrano, ecco la brutta figura delle parole che non aderiscono alla bellezza del corpo di Cristiano; ecco il pensiero sublime suscitato dal corpo dell’altro e dalla sua persona, che si traduce in voce tremula e claudicante, in abbozzo o in poesia, ecco la commedia pericolosa e fragile sottesa in questo “come di’”, come dirlo, ché occorre dirlo, fosse pure turpiloquio. 

Ecco per qualche momento il gioco di una dichiarata brutta copia del teatro, teatro incapace di somigliare a se stesso, atto a consumarsi in un vacuo spettacolo bidimensionale: trionfo del tempo e del disinganno, ai danni di una bellezza sì potente, ma umana, e perciò fugace, come il tempo scandito sempre da una lama affilata pronta a trafiggere.

La musica dal vivo accompagna e scandisce i passaggi di stato, fondendosi anch’essa nell’unicum platonico, ora separato e in cerca dell’altra metà, meta provvisoria e ingannatrice. 

La lingua del testo è lingua ibrida, frutto degli innesti tra il classico e il contemporaneo: si attraversano così livelli diversi, dal dinamico e comico gioco che rimanda ai lazzi della commedia dell’arte, passando per una delicata e pungente introspezione, fino al più acceso lirismo tragico. 

Bellezza: Voglio Tempo! 

[…]

Io vorrei due cori in seno: un per darlo al pentimento, al piacer l’altro darei. 

Trionfo del tempo e del disinganno – Haendel 

Io appartengo all’essere e non lo so dire. Non lo so dire. Non lo so dire.” 

Mariangela Gualtieri

Locandine: Massimo Isaia